C’è del masochismo in certi uffici stampa: ti invitano con insistenza ma, se c’è il rischio che accetti, provano a dissuaderti. Altri fanno inviti a geometria variabile che diventano fonti di pessime figure. Spesso più trasparenza gioverebbe a tutti.
Ogni volta che succede, e succede ormai quasi sempre, non posso fare a meno di farmi la stessa domanda. E, non sapendo rispondere, di chiedermi se sono io ad essere stupido o fuori dal mondo a pormi certe questioni, o se è un certo mondo ad essere costantemente fuori di testa.
Parto da lontano, ma la faccio breve.
Oggi la “comunicazione“, cioè quel coacervo di notizie che vanno dall’informazione alla reclame (secondo come fa comodo pensare e agire), è tutto o quasi. I media ne vivono. E chi vi opera, a cominciare dai giornalisti, ne è alluvionato.
Nel mio piccolo, ricevo ad esempio circa 200 email al giorno, di cui 1/9 di cose utili o serie, 1/3 di pubblicità e 5/9 di comunicati stampa. Il 70% di questi sono o racconti di cose già accadute (quindi di interesse pressochè zero), o pseudoinviti a eventi che accadranno domani in posti lontanissimi (dove quindi non potrò andare mai), o inviti a cose interessanti ma dove (per mancanza di committenza, alti costi di trasferta, mancanza di rimborsi spese, etc) sei messo nella sostanziale condizione di non andare comunque.
E, fin qui, ancora tutto normale: la pratica degli invii massivi, ‘ndo cojo cojo, a prescindere da ruolo, mansioni, residenza e competenza del destinatario, è infatti ormai abituale.
Ma ecco allora che sorge la famosa domanda iniziale: se tu, organizzatore o ufficio stampa, non desideri che io venga alla tua manifestazione, o non ti puoi permettere che lo faccia, o semplicemente non ritieni (cosa legittimissima) la mia specifica presenza interessante o strategica, o se non sai convincere il mio giornale a incaricarmi di seguire ciò che organizzi, che mi informi a fare? Solo per la brutta figura, quando poi ti manifesto il mio interessamento, di dirmi che non puoi ricevermi o farmi capire, tra acuti imbarazzi, che non sono “previsto“?
Guarda che ho ben altro da fare che assecondare i tuoi maldestri minuetti diplomatici.
In altre parole: avendo tu il pieno diritto di invitare chi vuoi e come vuoi in funzione dei tuoi interessi e necessità, se io non rientro in nessuno dei due, perchè mi inviti sapendo che c’è un ragionevole rischio che io poi accetti?
Mistero insondabile.
Perchè non mi mandi piuttosto, e con congruo anticipo, un’anodina comunicazione lasciando a me l’iniziativa, se la cosa mi attizza, di informarmi per eventualmente provare a “notiziare“?
Tempo fa scrivevo, non ricordo più dove, che per un ufficio stampa una delle massime prove di professionalità è la capacità di rifiutare certi incarichi e/o di accondiscendere a certe assurde richieste del committente.
Ebbene, a giudicare da quanto succede, bisogna concludere che acume e professionalità sono virtù divenute rarissime.
Anche perchè sovente non manca la ciliegina sulla torta: il programma diversificato secondo il rango di un giornalista rispetto a un altro. Mi è capitato di trovarmi in ambo le situazioni ed è sempre imbarazzante. Se sei tra i privilegiati, hai la sensazione di “tradire” i colleghi e non sai come fargli capire, senza ferirli, che tu sei finito in serie A e loro in serie B. Se sei tra i retrocessi, ti trovi con gente che ha condiviso cose in tua assenza, quindi prima non capisci e poi non è simpatico.
In entrambi i casi, c’è un’incomprensibile mancanza di trasparenza da parte di chi organizza e che sarebbe facile evitare parlando esplicitamente, correttamente, come si fa tra professionisti. I quali, in quanto tali, sono a loro volta tenuti a comprendere situazioni e circostanze.
Invece no.
Così i segreti di Pulcinella diventano presto tristi arlecchianate di ipocrisia collettiva.