Agli “Stati Generali dell’informazione precaria”, cominciati ieri (e proseguenti oggi) a Roma nella sede dell’Fnsi, si è parlato di tutto tranne che di libera professione. Distrazione, volontà o incapacità di mettere a fuoco il problema? Forse un po’ di tutto.
L’effetto che fa l’abbiamo visto alla luce del sole, mica di nascosto. L’effetto – voglio dire – che fa partecipare a una festa che dovrebbe essere la tua e dove, invece, ti trovi a fare da sfondo. Anzi, da tappezzeria, come le bruttine che una volta nessuno invitava a ballare alle feste del liceo.
Parlo, è ovvio, della prima giornata degli “Stati Generali dell’informazione precaria” convocati ieri a Roma, tra mille ingiustificati tremori e un certo velo di mistero preventivo, dall’Fnsi. E dedicati, almeno così si presumeva dal titolo, al lavoro giornalistico autonomo. Quello che secondo una sinonimia a mio parere sbagliatissima, ma ormai divenuta corrente, appaia i titolari di un contratto a termine, i cococo, gli abusivi a vario titolo ai liberi professionisti. I quali – sapete come la penso – nel novero detto sopra sono invece gli unici, se l’italiano ha un senso, ad essere (e a desiderare di essere) veri “autonomi”.
Sia chiaro: a suo modo la giornata ieri è stata anche divertente, forse perfino utile. Incontrata tanta gente, sentite tante cose. L’atmosfera, diamone atto agli organizzatori, era anche ragionevolmente distesa e respirabile. La conduzione dello zabaglionato (dal colore della maglietta) Maurizio Bekar pacata e ordinata.
Ma dei freelance non si è mai, proprio mai parlato.
Zero, nada, nisba.
In compenso però (qualcuno pensa l’abbiano fatto apposta ad allungare il brodo) si è parlato di tutto il resto: abusivi in redazione, false partite iva, art 2 e art 36, cococo, pensionati, disoccupati, praticanti, licenziati, ricongiunti, uffici stampa, ispettori inpgi, equo compenso, Inpgi 2, Casagit. E, come detto, a volte è stato pure interessante.
Di libera professione giornalistica tuttavia, quella “normale” (della quale, con mio compiacimento, sono stato allusivamente definito “esegeta“), insomma dei poveri cristi con partita iva, posizione Inpgi, pluralità di committenti e reddito proveniente in tutto o in prevalenza dall’attività professionale non si è mai ricordato nessuno. Fantasmi, tappezzeria appunto.
Eppure sono intervenuti in tanti.
Establishment federale al completo: il segretario Franco Siddi (suo il record di detenzione del microfono: 45 minuti di rara rarefazione), il presidente Giovanni Rossi, il direttore generale Giancarlo Tartaglia. Il presidente dell’OdG Iacopino, chiamato sul palco dopo un gustoso minuetto di falsi equivoci sul momento del suo intervento. Il vicepresidente dell’Inpgi Paolo Serventi Longhi (a volte ritornano). Vari titolari di altre cariche minori. E infine una sequela di colleghi spesso più smarriti che incazzati, nell’inevitabile e un po’ disordinata serie di appelli, vari argomenti, gridi d’allarme e invocazioni d’aiuto.
E quella di ieri doveva essere la sessione “seminariale“.
Oggi invece, ma io non ci sarò, è la giornata dei “gruppi di lavoro“: equo compenso, contratto, Carta di Firenze. Destinata, temo, a concludersi con l’inevitabile “documento” sul quale accapigliarsi per ore.
Insomma non ho buone sensazioni, come direbbe Valentino Rossi
Speriamo comunque che, almeno in queste sedi, chi è un freelance si ricordi di esserlo, facendo presente che questa figura ha una sua individualità e una sua ben precisa identità professionale, diversa dalle altre. E che se non si comincia a prendere atto delle differenze tra le varie tipologie di “autonomi”, anzichè sforzarsi di comprimerle in panni unici e non loro, le conseguenze saranno esiziali.
A cominciare dall’esito delle “audizioni” di lunedì prossimo davanti alla commissione per l’equo compenso.