Fino a notte fonda ho letto, su un’autorevole rivista straniera (autorevole forse nemmeno tanto, ma autorevolissima rispetto alle nostre) un articolo assai approfondito sul mezzo secolo dall’uscita dell’album d’esordio di una grande artista. Articolo magistrale, o forse nemmeno tanto (vedi sopra), ma per freschezza e approfondimento comunque impensabile alle nostre latitudini.
Anzichè riflettere sulle ragioni, in parte evidenti e in parte meno, della cronica assenza in Italia di un’editoria musicale degna di un paese di grandi tradizioni artistiche e quindi anche di capacità e sensibilità critica come il nostro, mi sono invece soffermato a pensare al senso che poteva avere la mia immersione in quella lettura. Una lettura che avrei apprezzato anche trent’anni fa, quando l’artista de quo era viva, produceva, scriveva, incideva, suonava.
Seguo la musica con passione pari al disincanto che l’età e l’esperienza mi inducono. Ascolto, leggo, mi informo, mi aggiorno. Sono accettabilmente attento al presente. Ma lo iato tra me, il valore artistico di quello che sento e la soglia qualitativa minima che pretendo è sempre più ampio.
Sono certo che ciò non dipende, ovviamente, dal fatto che non si produce più bella musica. Credo magari che per ragioni di mercato se ne incida meno o che i mezzi per la sua diffusione e fruizione siano inadatti al raggiungimento della necessaria profondità di percezione.
Fattostà che mi sono ritrovato ad ore antelucane a leggermi note critiche su un’artista che oggi avrebbe settant’anni ed è morta da venti. Sulla quale si è già scritto e letto quasi tutto. Ma è proprio il quasi a fare la differenza, rivelando che qualcosa da dire c’è ancora. Dopo mezzo secolo c’è ancora uno spazio critico da riempire.
Valutate voi se sia perchè la musicista era tanto grande da dover restare per sempre seminesplorata o se perchè la critica non è nè sarà mai abbastanza lungimirante da saper sviscerare la sua arte fino in fondo.
Eppure, da lettore evoluto di cose musicali, ho la netta sensazione di aver letto raramente articoli come quello dedicati però all’esegesi su un musicista già affermato, ma emerso nell’ultimo decennio.
Quindi, delle due l’una: o il r’n’r inteso in quell’amplissima e totalizzante accezione che chi mi legge sa è morto, o sono io che, per raggiunti limiti di età compatibile con una musica che per definizione vive ed esprime i propri tempi, sto divorziando dal r’n’r.

Ps: l’articolo in parola era dedicato a Laura Nyro, 1947-1997, a stoned soul.