Secondo il Ministro Giulio Tremonti la via del rilancio dell’economia italiana deve avvenire valorizzando il principio della responsabilità individuale e spostando al “dopo” la fase di controlli preventivi che oggi disincentivano e ostacolano l’iniziativa. Tutto giusto. Ma inutile se non accompagnato da un cambio di prospettive in cui sobrietà e stabilità prendano il posto di moloch come lo “sviluppo” e la “crescita” indefinita.
«Le regole giuste sono un investimento. Le regole sbagliate sono un costo». Inizia così la relazione al disegno di legge di modifica dell’articolo 41 della Costituzione sull’iniziativa economica, vergata dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Dietro «la follia regolatoria» c’è una «visione dell’uomo negativa o riduttiva». Negativa come quella dell’uomo-lupo descritto dal pensatore Thomas Hobbes che «va ingabbiato» perché di per sé «immorale». Riduttiva, come quella di chi pensa che «l’uomo è insufficiente a se stesso». Da questo «nuovo Medioevo» irto di «totem giuridici», ben descritto dalle parole del filosofo Alexis de Tocqueville, si vuole uscire rivendicando «una visione positiva della persona, delle sue associazioni, della sua capacità d’impresa», come Sant’Agostino che riconosceva la socialità della natura umana.
La soluzione è agevolare l’iniziativa economica valorizzando il senso della responsabilità individuale e trasferendo i controlli solo nella fase successiva, ex post. Dopo, insomma, e non prima.
Dal punto di vista teorico, l’idea non fa una piega. E’ dal punto di vista pratico, però, che mi lascia perplesso. E’ vero, come dice Tremonti, che in Italia ci vogliono 10 giorni per aprire un’impresa e 275 per avere una licenza edilizia. Ma è vero anche che questa muraglia burocratica esiste perchè esiste un assurdo numero di adempimenti, ovvero di norme da rispettare. E queste, se ci sono, non rappresentano una questione di ex ante o ex post. Qui dunque bisognerebbe colpire, sfoltendo e riformando seriamente (il che spesso vuol dire rendere solo efficienti gli apparati e non tollerare le sacche di incapacità, impunità, nullafacenza della pubblica amministrazione), non tanto spostando in avanti o indietro il momento dei controlli. Trasformando la tortuosità in linearità.
Semplificare e regolamentare, del resto, non sono termini alternativi o antinomici. Non è detto che avere più norme costituisca di per sè un maggiore ostacolo. Il vero ostacolo, in Italia, è spesso il labirinto degli uffici e delle scartoffie, l’alea delle interpretazioni e dei capricci individuali. Chiunque abbia frequentato un ufficio pubblico lo sa. Ci sono Asl confinanti che interpretano norme in materia igienico sanitaria in senso diametralmente opposto. Questo è il vero problema.
Che risolverlo sia uno dei passi necessari, anche sforbiciando con decisione il leviatano legislativo, non c’è dubbio.
Non tanto e non solo per superare la crisi economica, però, quanto per ripensare, alla luce della lezione impartita da questa (una lezione ben lungi dall’essere terminata, del resto) il modello di riferimento. Abolendo per esempio dal vocabolario la parola “sviluppo”, se intesa come crescita indefinita. Abolendo, del pari, l’espressione “sostenibile”, che ne rappresenta un’appendice. E abbracciando invece i concetti di stabilità e di sobrietà dell’economia che, senza costituire di per sè un ostacolo al concetto di crescita, meglio si confanno alla natura umana, alle nostre radici culturali, al buon senso e anche al principio di una sana amministrazione della cosa pubblica.