di URANO CUPISTI
Ricordi di un giro del mondo a cavalcioni dell’International Date Line, la linea che taglia il Pacifico e segna il punto di passaggio da un giorno a quello successivo. Una sorta di surf nel tempo e languori da bevande afrodisiache.
Correva il 1979 e il mio scopo era rivivere quell’emozione provata durante il primo giro del mondo compiuto con mio padre nel remoto 1964 quando, in navigazione verso est, oltrepassammo l’IDL, International Date Line, tra i fischi emessi dalla nave per attirare l’attenzione di altre unità o semplicemente per festeggiare a bordo l’avvenimento.
L’IDL è quella linea immaginaria che delimita il cambiamento di un giorno di calendario con il successivo. Attraversa l’Oceano Pacifico da nord a sud o viceversa, ma non è affatto rettilinea: seguendo logiche politiche e commerciali zigzaga infatti tra le numerose isole della Polinesia e Micronesia.
Divertirsi per pochi attimi, percorrendo la lunghezza della nave per “saltare” da un giorno all’altro in avanti o indietro e, nell’immaginario, correre verso il futuro o ritornare al passato, era uno spasso. Un cronomeccanismo sei protagonista.
L’improvviso e forte turbamento determinato da quei fischi me lo portai dentro a lungo, nella speranza che un giorno l’avrei riprovato. Ma se nel 1964 l’emozione durò solo pochi minuti, nel viaggio del 1979 doveva durare invece ben venti giorni, quanti ne avevo programmati per saltellare a cavalcioni della Linea, in compagnia con le genti del posto.
Eppure, lo confesso: al momento cruciale, l’unico a emozionarsi fui io. Gli altri vivevano quegli attimi di “pura immaginazione” come se essa non esistesse. Normalità trascurabile.
Raggiunsi Honolulu e da lì le Samoa orientali e/o americane, più precisamente l’isola di Tutuila con capitale Pago Pago, rimanendo ad oriente del IDL. Non mi trattenni molto perché era già meta di un turismo di massa a stelle e strisce che dava la percezione di vivere all’interno di un grande villaggio, con tanto di animatori.
Il mio desiderio predominante, quasi un’ossessione, era invece di viaggiare a ritroso nel tempo, tornare nel giorno prima, “ringiovanire di 24 ore”. Non mi crederete ma arrivare nell’isola di Upolu e nella sua capitale Apia e leggere sul display dell’aeroporto ancora la data di un giorno fa mi fece sentire come fossi una sorta di Alexander Hartdegenun ne “La macchina del tempo” di Wells, ma al contrario: proiettato cioè nel passato anzichè nel futuro.
Quel personaggio mi piaceva e l’immedesimarmi in lui, che corre nella mostruosa macchina per passare da un’epoca ad un’altra, per me fu ancora una volta motivo di forte emozione.
Rimasi alle Samoa, quelle del giorno prima, per dieci giorni, andando alla scoperta di flora, fauna e tradizioni secolari. Inutile dire che vissi i giorni immerso in un paradiso dove, fuori città, si viveva nei fale completamente aperti, senza nemmeno le porte, con indosso parei coloratissimi e nient’altro. Insomma un tuffo nel passato che sembrò essere non solo di un giorno ma di un’epoca.
Il “senso” delle Samoa stava del resto tutto racchiuso in un cartellone: “The last place to experience the sunset each day in the world”: l’ultimo tramonto al mondo si ammira qui. Splendide spiagge di sabbia bianca, palme piegate dai venti, il silenzio della lagune lungo le due isole, Upolu e Samoa. Stare bene con se stessi e con gli altri e partecipare all’antico rito del Kava, la bevanda inebriante e afrodisiaca polinesiana meglio conosciuta come “droga del Pacifico”.
Si ricava dalle radici di un arbusto della famiglia delle Piperaceae, il Piper methysticum Forst, il cui principio attivo è formato dai kavalattoni, “premasticate” da giovani con buoni denti e donne in età fertile. La masticazione viene compiuta lentamente e solennemente, facendo attenzione che il succo che si accumula in bocca non sia inghiottito ma sputato, insieme alla fibra masticata, in una grande bacinella dove viene poi aggiunta acqua. Il tutto viene quindi filtrato per ricavarne un liquido di color giallastro (all’apparenza onestamente vomitevole), che è il prodotto finale della lavorazione, pronto per essere ingerito.
Il sesso c’entra?
Eccome, ve lo posso garantire.
Secondo alcuni miti il kava ha origine dai genitali femminili, alcune altre credenze identificano invece il kava con il pene maschile in erezione.
E così, grazie all’aiutino della bevanda inebriante, con l’aggiunta di musiche languide e danze sinuose, può accadere che il mattino dopo non ti ricordi come sei finito a giacere nudo in quel fale che non era il tuo.