Col 2025 l’ingorgo sembra arrivato alle zenith: redditi in caduta irreversibile, deontologia a picco, poltronificio in piena attività, credibilità e prestigio zero, abusi ai massimi, rischio di implosione concreto (altro che abolizione). Prendiamone atto in vista delle elezioni Odg di marzo.

 

No, quello nel titolo non è un errore di battitura.

Credo infatti che, con la fine del 2024, sia venuto il momento di sbilanciarsi definitivamente, senza cautele nè possibilità di retromarcia, su tante questioni a proposito delle quali si dibatte pessimisticamente da tempo, ma che sono giunte alla fase della presa d’atto finale ed è ormai inutile continuare a girarci intorno.

Combinazione, ad esempio, proprio oggi ho ricevuto la lettera dell’Odg della Toscana col bollettino per il pagamento della quota annuale: 95 euro. Una somma ridicola, se rapportata all’importanza dell’appartenenza a una categoria ordinistica come la nostra, alle funzioni che le sono attribuite e alla delicatezza del suo compito. Un’enormità, se rapportata al reddito medio dei giornalisti non contrattualizzati, ossia l’80% (ottanta per cento) della categoria medesima, la metà dei quali tenta di svolgere la professione come unica attività di sostentamento, ma alle stesse tariffe da dopolavorismo (da 3 a 25 euro a pezzo) con cui la svolge l’altra metà: quella, in rapida crescita, che non raggiunge neanche il minimo per avere una posizione Inpgi, già Inpgi2. Anche perchè in larga misura molti colleghi non si rendono conto che, accollandosi oneri e spese superiori ai compensi, in pratica sono arrivati al paradosso di pagare per lavorare. Così gli editori festeggiano.

A proposito: il poltronificio sindacal-previdenziale dei giornalisti, non contento di aver provocato la catastrofe della cosiddetta “gestione principale” che anni fa ha condotto, nonostante la strenua resistenza dei suoi capataz, alla dissoluzione della stessa e alla sua provvidenziale confluenza in Inps, coi soliti metodi opacissimi ma collaudati ha messo le sue burocratiche mani sulla “gestione separata“, quella degli autonomi per capirsi, e a colpi di demagogia e ipertrofia si accinge a prosciugarla grazie a costi di gestione abnormi e a una sconcertante imprevidenza (autentico ossimoro, viste le finalità dell’ente) nei confronti di quello che, per la subcategoria de quo, appare un destino segnato.

Lo dimostra proprio quanto, con classica comicità involontaria, riporta il bollettino Inpginotizie del 19 dicembre scorso (qui): il “IX Rapporto sulle libere professioni in Italia” di Confprofessioni“, dice che “nell’ultimo triennio si assiste a un incremento dei profitti in quasi tutte le categorie professionali. Per quanto riguarda i redditi dei giornalisti LP (liberi professionisti) in 3 anni sono aumentati di appena il 6%, l’aumento più basso tra tutte le categorie dei liberi professionisti aderenti ad Adepp“.

L’inadeguatezza di chi ci guida è dimostrata non tanto dal misero incremento percentuale riportato, quanto dal fatto (che naturalmente l’Inpgi manca di sottolineare, con ogni probabilità perchè non lo coglie) che il +2% medio annuo in parola è calcolato su un dato in caduta libera da almeno tre lustri: quindi un aumento doppiamente insignificante, come se la banca aumentasse del teorico 2% gli interessi sui depositi di un conto quasi in rosso, che giacenze non ne ha.

Ci si può meravigliare allora se, per campare, la stragrande maggioranza dei giornalisti autonomi si arrangia, sguazzando in colossali conflitti di interesse, marchette conclamate, ambiguità varie, piedi in due o anche tre staffe, il tutto generalizzato e cronico ormai al punto da apparire quasi normale a chi lo pratica, a chi non lo pratica e perfino all’opinione pubblica?

No, non ci si può meravigliare.

Ci si può meravigliare se, dato il malcostume ormai diffusissimo, anzi capillare, l’Odg non può, nè sa, nè forse vuole avviare autonomamente dei procedimenti disciplinari e li demandi alla delazione di singoli contro altri singoli, operazione antipaticissima, che fa sembrare (e talvolta risultare) tutto come lo squallido sfogatoio di personalismi, maldicenze e invidie? Perfino quando gli abusi in parola sono conclamati, comprovati, evidenti o addirittura ostentati a mo’ di sfida?

No, ancora una volta non ci si può meravigliare.

Ci si può meravigliare se, poi, da un lato chi fa marchette viene ammesso all’OdG attestando l’attività svolta con l’ostentazione delle medesime marchette e se, dall’altro, se chi le fa, ed è già iscritto nell’albo, ci rimane e se, da un altro lato ancora, è tollerato chi, con spudoratezza perfino provocatoria, si gabella, si firma, opera, si accredita, si spaccia per giornalista senza esserlo, nella sconcertante tolleranza dell’ambiente?

No, ancora una volta non ci si può meravigliare.

Ecco perchè è il momento di sbilanciarsi.

E di dire che, per la prima volta in 38 anni di professione, pagherò la quota dell’OdG più per dovere che per convinzione e meno volentieri del solito.

Lo ammetto: non avrei mai creduto di arrivare a questo punto. E tantomeno di arrivare a credere che l’Ordine non ci sarà bisogno di abolirlo: imploderà prima, da solo. Nel disinteresse generale e forse tra il pubblico plauso, compresi quelli di una politica da decenni corresponsabile della mancata riforma della professione, l’unico strumento che, almeno fino a qualche tempo fa, avrebbe potuto salvarci.

Attenzione, però. E rullo di tamburi: su questo tragicomico scenario si affaccia la scadenza delle elezioni per il rinnovo delle cariche dell’Odg, a lungo rimandate per questioni tecniche (o no?) e ora fissate, si spera inderogabilmente, per il 12 e 13 marzo prossimi.

Dopodomani, in pratica.

Le solite truppe cammellate delle correnti si accingono dunque a mobilitarsi.

Del resto i cammelli sono le monte ideali per gli ambienti desertici, no?

Come il nostro, ad esempio.

 

Buon 2025.