di LORENZO COLOMBO
Il Savignone 2004 Igt Ravenna Rosso Poderi Morini: fatto col Centesimino, nome che Veronelli, riteneva riduttivo e declinava come Sauvignone è un vino stappato con molte perplessità e andato invece oltre ogni aspettativa.

 

Questa settimana non è stato facile trovare il vino adatto per questa rubrica: abbiamo dovuto aprire tre bottiglie prima di trovare quella giusta. Le due aperte in precedenza, uno Chardonnay della Valle d’Aosta fermentato in legno del 2014 ed un vino macerato, ovvero una Rebula 2013 della Vipava Valley, presentavano alterazioni dovute al lungo invecchiamento.

Alla fine abbiamo trovato ciò che faceva al caso nostro, come spesso accade, tra i vini verso i quali non avevamo molte aspettative.

Si tratta di un Igt Ravenna Rosso, si chiama Il Savignone e viene prodotto da Poderi Morini: sull’etichetta frontale troviamo scritto Il Savignone Savignôn Rosso.

Ma di cosa si tratta?

Iniziamo dal vitigno. Il nome col quale è stato inserito nel 2004 nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite è Centesimino ed il nome attuale del vino si chiama per l’appunto Sauvignone Ravenna Rosso Centesimino Igt. Di quest’uva il censimento del 2010 dichiarava esserci unicamente 24 ettari.

Perché allora il nome Sauvignone e addirittura Savignôn Rosso?

Perché gliel’ha dato Luigi Veronelli, che riteneva riduttivo il nome Centesimino preferendo italianizzare il nome col quale i locali chiamavano questo vitigno, ovvero facendo diventare Sauvignone il dialettale Savignôn.

Le uve provengono da un vigneto in località Oriolo dei Fichi, nel comune di Faenza, a 170 metri d’altitudine, il suolo è di medio impasto ed il sistema d’allevamento è a cordone speronato con densità d’impianto di 3.500 ceppi/ettaro. Sia la vinificazione che il breve affinamento (due mesi) si svolgono in vasche d’acciaio.

Un vino di simile tipologia è concepito per essere consumato fresco, infatti l’azienda così lo descrive: “colore rosso rubino con riflessi violacei, profumi di frutti freschi del sottobosco e viola mammola, sapore aromatico e intenso, con note di rosa selvatica, fragole di sottobosco e melograno“.

Ovviamente nulla di tutto questo abbiamo trovato a vent’anni dalla sua vendemmia.

Ma partiamo dall’inizio, ovvero dalla stappatura che non ha presentato alcuna difficoltà, il tappo è infatti uscito integro con colorazione data dal vino per meno della metà della sua lunghezza.
Appurato che non ci fossero odori anomali l’abbiamo decantato per eliminare eventuali sedimenti che però si sono rivelati minimi.
Il primo approccio, appena versato nel bicchiere non è stato dei migliori, il colore appariva infatti mattonato scuro, tendente al color prugna secca ed al marrone, non certamente molto invitante.
Procediamo comunque con l’assaggio, la sua intensità olfattiva è discreta anche se all’inizio il vino appare un poco chiuso, s’apre dopo una mezzoretta nel bicchiere sprigionando sentori balsamici, di cioccolato alla nocciola, di prugne e ciliegie in confettura, di foglie bagnate e di radici, con accenni di vaniglia, caffè, mirto e timo. Decisamente ampio e sopra ogni più rosea aspettativa.
Alla bocca il vino appare morbido, con tannino ancora ben presente senz’essere assolutamente fastidioso, ancora buona la sua vena acida, vi cogliamo note di Pocket Coffee ed accenni mentolati e di radici dolci, spezie ed erbe aromatiche, non lunghissima la sua persistenza.
In definitiva un vino ancora molto interessante, soprattutto all’analisi olfattiva.

 

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