Ci sarà un motivo se la grande maggioranza dei giornalisti italiani non è iscritta all’Fnsi, il sedicente sindacato unico della categoria. Quale? Non li rappresenta. Rappresenta (bene, senza dubbio) solo le gerarchie dei contrattualizzati. I quali, però, costituiscono appena il 10% degli iscritti all’Odg. Gli altri? Esistono solo a parole e a proclami. Lo dimostra anche il caso di Paola Caruso: alla quale, prima di iniziare lo sciopero della fame, tutto è venuto in mente tranne che rivolgersi alla Federazione. La soluzione? Ci vuole un altro sindacato, quello dei non assunti.
Pino Nicotri, consigliere generale dell’Inpgi, è uno stimabile collega romano, noto per essere (ipse dixit) un piantagrane. Quindi già per questo, ai miei occhi, meritevole della massima considerazione. Se poi si aggiunge in fatto che spesso sostiene cose vere, serie e argomentate, ce n’è abbastanza per prendere per oro colato quanto dice.
Oggi ad esempio, rispondendo, in un articolo pubblicato sulla newsletter di Senza Bavaglio (la corrente dell’Fnsi per la quale è candidato a Milano), a uno scritto del vicesegretario nazionale della Fnsi, Enrico Ferri, Nicotri affronta il caso delle poche luci e delle molte ombre del vigente contratto dei giornalisti. Sì, proprio quello sottoscritto l’anno scorso accrescendo il privilegio di una minoranza di contrattualizzati e lasciando al proprio destino tutti gli altri. L’accordo, invoca il collega, va denunciato dall’Fnsi per evitare che, in previsione di lunghi stalli nelle future trattative, esso si rinnovi automaticamente. E giustamente incalza: “(Ferri) non dedica neppure mezza parola al fatto che chi ha la fortuna di restare in redazione lo deve anche al fatto che ormai la gran massa di giornalisti è composta di non contrattualizzati, precari, freelance, contratti a tempo determinato rinnovabili a gogò, tutti pagati una miseria e con molto comodo. Qui siamo al corporativismo del corporativismo. Senza Bavaglio chiede che questo contratto non venga rinnovato per il semplice motivo che – anche se Ferri lo nasconde – ha accettato la disgregazione della professione, in cambio del più o meno ricco piatto di lenticchie per la corporazione che resta in redazione mentre il resto dei colleghi nuota e annaspa costretta ad arrangiarsi più alla meno peggio che alla meglio”.
Questo tanto per spiegare con limpide parole altrui – ricollegandosi ai recenti temi affrontati qui, qui e qui di recente su questo blog – perché la collega Paola Caruso ha iniziato lo sciopero della fame, perché molti giornalisti hanno attaccato la penna al chiodo, perché tanti altri meditano se trasformarsi (salvo non essersi già trasformati) in giornalisti-imprenditori, perché quasi tutti passano alle pr, perché sale il livello delle marchette e perché calano a precipizio la credibilità, il prestigio e la dignità della categoria.
A Nicotri e al caso Caruso tiene poi bordone, sul medesimo sito di SB (sigla dalla quale – lo dico a scanso di equivoci – ho preso da tempo le distanze), un altro candidato, Cristiano Tinazzi, il quale ha chiesto alla collega se, prima di iniziare la clamorosa protesta, non si sia rivolta al sindacato. Ecco, testuale, la risposta: “Non ci ho pensato, in realtà io ho parlato con i miei capi […]. Mi sono iscritta al sindacato tre anni fa – racconta Paola – ma non ho rinnovato la tessera perché mi sono sentita presa in giro e non tutelata. All’epoca lavoravo per il quotidiano sportivo ‘Dieci’, chiuso dopo pochi mesi senza aver pagato i dipendenti. L’editore, Gian Gaetano Caso, è finito in manette nel 2010 per tentata truffa aggravata nei confronti della Regione Abruzzo per l’ottenimento illecito di fondi pubblici. E il sindacato cosa ha fatto per me? Niente, proprio niente”. Ma va? Davvero?
Il caso Caruso (di cui, lo ribadisco, non condivido i modi) dimostra insomma tre cose:
1) il 90% dei giornalisti crede talmente poco nell’Fnsi che, se ha bisogno di aiuto e consiglio, chiede ai capi (!) anziché al sindacato;
2) il sindacato, l’unico che c’è, è il sindacato dei contrattualizzati, dei quali giustamente tutela gli interessi, e non quello di tutti gli altri, che, tranne quando si tratta di incassare le quote, continuano ad essere sono un’entità (se non per propaganda o per i sensi di colpa generati da una tardivissima, inutile resipiscenza) irrilevante, fastidiosa, ingombrante e imbarazzante;
3) se freelance, precari, autonomi e redattori di basso rango vogliono sperare di avere, ammesso che ne resti il tempo prima della fine, uno straccio di difesa sindacale, occorre che un sindacato ad hoc se lo facciano da soli. Sennò, buonanotte…