“Dieci euro da far pagare ai turisti per entrare in piazza del Campo durante i giorni della Carriera”. Una sorta di ticket valido per tutte la 96 ore di Palio, giorno e notte. E dal quale sarebbero appunto esentati i residenti in provincia di Siena. E’ la proposta che viene da un contradaiolo dell’Oca per, precisa lui, far fronte col ricavato al taglio dei servizi (comunali, si presume) legato alla scarsità di risorse pubbliche, vista la crisi in atto. Una provocazione, un’idea intelligente, una boutade da caldo? Fattostà che a Siena l’idea sta avendo una certa risonanza.
Per capire la proposta in tutta la sua portata (e a prescindere dalla sua concreta applicabilità: come allestire, ad esempio, il sistema dei controlli sulla residenza delle persone? E come trattare i tanti contradaioli residenti fuori provincia? Per non dire delle questioni di legittimità e di fisco sull’imposizione del balzello: biglietto d’ingresso, tassa, boh!), occorre conoscere una premessa fondamentale: nel Palio la piazza del Campo è per definizione “del popolo” e quindi liberamente accessibile a tutti. Senesi e turisti. Così come sono a pagamento (o comunque concedibili a discrezione dai titolari) i posti ai “palchi” (cioè le tribunette esterne) e quelli a balconi e finestre privati. Questione di reddito? No. Non solo, almeno.
La grande conchiglia al centro è infatti il luogo ove più di tutto si scaricano e si addensano le passioni, il punto in cui da sempre, per definizione, il contradaiolo, il senese, il curioso, la gente comune va ad assistere alla corsa, in una transumanza febbrile, mista di ansia e di speranza, di fretta e di cadenza. Un’esperienza che chiunque, contradaiolo o meno, dovrebbe fare almeno una volta. Sia perchè, soprattuto se si ha un po’ di pratica, contrariamente a ciò che potrebbe sembrare da lì la visuale sulla corsa è eccellente, sia perchè, soprattutto, non esiste altro sistema per compenetrarsi e comprendere nel profondo il Palio se non immergendosi tra i corpi, il sudore, le voci, il batticuore, gli isterismi, la rabbia, gli sfoghi, gli improperi, le invocazioni, le lacrime, il giubilo e i silenzi dei quarantamila accalcati nella piazza. Anzi, serrati letteralmente dentro dagli alti steccati, in punti in cui a volte lo spazio è sorprendentemente ampio e in altri in cui, spesso, per il calore e la pressione può mancare il fiato. Dove i malori abbondano e i malcapitati vengono passati di mano in mano sopra la testa della gente, fino al momento in cui i volontari della pubblica assistenza si precipitano a prelevarli e ad accompagnarli fuori.
Ma, prima e dopo le ore fatali della corsa, Piazza del Campo è anche il luogo del confronto, del commento, del passeggio, dello struscio, del capannello, della contemplazione, dell’attesa. Dove all’alba si smaltiscono le sbornie o ci si dà convegno per l’ultima bevuta, l’ultimo canto, l’ultimo agguato ai nemici, l’ultimo “ragionamento” su monte, fantini, strategie. E’ qualcosa di violento, il Palio. Di emotivamente violento. E la piazza è il suo parafulmine, la naturale cassa d’espansione, il luogo tributato ad accoglierla e in qualche modo a contenerla.
Tutto ciò, questa ribollente mescolanza di colori e di etnie, di motivazioni e di sentimenti, di contradaioli infuocati e di turisti accaldati, manterrebbe lo stesso senso e la stessa natura se fosse sottoposta al rito pedestre e vile del pagamento di un biglietto, con la penosa scia di burocrazia e di irrigidimento poliziesco che fatalmente subirebbe? Sarebbe ciò conciliabile con l’incontrollabile furia paliesca, l’allegro sciamare del popolo dai mille rivoli, le calche d’altri tempi, l’impazienza dei senesi e lo shock dei forestieri? Non so. Non credo, anzi. Ma forse l’idea della Piazza a pagamento è solo un segno dei tempi. Forse perfino una necessità. Forse anche una buona proposta. Purchè sia chiaro che, compiuto il passo, nulla sarà come prima.
Avrebbe senso insomma, in questo quadro, pensare a un biglietto d’ingresso? Avrebbe senso introdurre un “pedaggio”, come già qualcuno eccepisce, trasformando o comunque assimilando qualcosa di assolutamente unico e verace come il Palio di Siena ad una qualunque altra sagra o manifestazione folkloristica? A quegli spettacoli, cioè, che giustamente i senesi aborriscono e dai quali sottolineano, della “carriera”, l’infinita distanza?
Magari la cosa finisce qui, tra le curiosità di piccolo caboraggio che sempre bastano ad animare i senesi alla vigilia e, in generale, quando si parla di Palio. Eppure il problema qualche riflessione la merita.