Enogastronomia, turismo e territorio: Vetrina Toscana Lab, ieri a Firenze, ha tentato di fare un bilancio del progetto nato per promuovere ristoranti, botteghe, prodotti tipici e ricette locali. Ma l’idea che informazione e comunicazione coincidano mi disturba.
Ho partecipato ieri, a Firenze, a Vetrina Toscana Lab, la kermesse organizzata dalla Regione per fare il punto sulla comunicazione delle eccellenze agroalimentari toscane.
Con me, sul palco del talk show condotto dall’autore e regista Carlo Raspollini, oltre all’assessore Sara Nocentini c’erano Enzo Vizzari, direttore della Guida dell’Espresso, il direttore del TG 2 Marcello Masi, Anna Prandoni, direttore de La Cucina Italiana, Alessandro Regoli, direttore di Winenews e i colleghi Ornella d’Alessio, Carlo Cambi, Paolo Pellegrini, Corrado Benzio, Eugenio Tassini e Leonardo Romanelli.
Insomma gente che se ne intende.
Si sono dette infatti parecchie cose. A volte un po’ polemiche, a volte un po’ slegate tra loro, a volte anche un po’ banali (io ho dato un ottimo contributo in tal senso!) e a volte no, tutte alla ricerca di una risposta alla domanda di partenza: come fare una nuova comunicazione enogastroetc?
La risposta non è arrivata.
Non perchè le idee, le proposte, le chiavi di lettura emerse dal dibattito non fossero buone. Alcune erano buone, anzi buonissime.
Ma perchè, forse volutamente o forse no, non si sono voluti mettere al discorso i paletti giusti e dare a ognuno il proprio posto.
Nel mio minimo, ci ho provato.
Si è fatta una gran confusione tra carta e web, tra comunicazione e informazione, tra autorevolezza e competenza, tra mezzo e contenuto. Insomma si sono spesso scambiati i ruoli e le funzioni.
Da parte mia ho sostenuto che, come giornalista, non dovevo preoccuparmi di “comunicare” un bel nulla, e nemmeno limitarmi a “raccontare”, ma casomai di informare. Non importa come, se cioè attraverso twitter, un blog o una rivista. Che sono solo tramiti.
Allo stesso modo, ho sostenuto che il punto non era se, per far conoscere meglio la realtà di un territorio, sia più utile una scheda critica su un ristorante o un’intervista a un produttore sconosciuto. L’importante, dalla mia prospettiva, è che la scheda sia fatta con la professionalità e l’indipendenza necessarie e che l’intervista sia il frutto delle mie domande, non di uno sproloquio autoreferenziale dell’intervistato, come spesso si vede e si legge.
In ciò dovrebbe consistere appunto la professionalità del giornalista e la differenza tra informazione e comunicazione.
Se invece si mescola tutto, ogni cosa diventa opaca e il bombardamento mediatico fa il resto: un calderone, una brodaglia indistinta da cui l’utente finale non può che uscire deluso o diffidente.
Al termine del mio intervento, qualcuno si è complimentato, ma c’è stato anche chi mi ha eccepito di aver detto cose ovvie e chi mi ha contestato di essere “antico“.
Poi mi si è avvicinata una persona, che mi ha detto di aver molto apprezzato il mio discorso. Era la corrispondente dall’Italia del maggiore quotidiano cileno.
Che devo pensare?