I commenti sul piano adottato dalla Toscana hanno preso una piega bellicosa. Ma anche inquietante: pare che il “libretto rosso” sul paesaggio riguardi le vigne e basta. Invece c’è in ballo tutta l’agricoltura. E il troppo vincolismo potrebbe strangolarla.

Tutto come previsto.
Il “libretto rosso” sul paesaggio elaborato in tempi e modi soft, ma con contenuti molto rigidi e ideologici, dai teorici duri e puri della Regione Toscana, ha scatenato un putiferio.
E a nulla serve il pompierismo del governatore Rossi, che da un lato cerca di rassicurare il popolo dei moderati (non solo gli imprenditori agricoli, sia chiaro), allarmati dal dirigismo intransigente del documento, dicendo che il dialogo è aperto e tutto si può migliorare, e dall’altro vuole dimostrare ai compagni, dichiarandosi apertamente “comunista“, che lui è ancora e saldamente “uno di loro” e che il piano paesaggistico elaborato dall’assessore Marson ha tutto il suo appoggio.
Ormai la miccia è accesa e le organizzazioni degli agricoltori di ogni colore affilano le armi, preparando dossier e comunicati stampa contro il contestatissimo PPR. Nelle prossime settimane se ne vedranno delle belle, visto che i termini per proporre “osservazioni” al piano scadono il 29 settembre.
Eppure, qualche danno, lo sciagurato disegno regionale – che pretende di musealizzare il territorio e di dire agli agricoltori cosa possono e cosa non possono fare, basandosi su una visione statico-onirico-nostalgica del paesaggio che non solo non è nelle cose, ma corrisponde a qualcosa che quando era realtà proprio la sinistra comunista ha per mezzo secolo distrutto con ogni mezzo – l’ha già procurato.
Complice, mi duole dirlo ma va detto, l’insipienza di una stampa superficiale e incompetente.
Siccome tra gli imprenditori agricoli i più attrezzati e i più svegli sono i viticoltori, sono stati questi ultimi i primi a sentire puzzo di bruciato e a lanciare l’allarme.
Così, in un battibaleno, sui giornali la battaglia contro il piano è diventata la “guerra delle vigne“, mentre l’oggetto del contendere è stato posto giornalisticamente in termini tipo “vigne sì o vigne no“, “i vigneti deturpano il paesaggio, bisogna toglierli“, “troppe viti, stop ai reimpianti” e via cantando.
Con un corollario di sfondoni a metà strada tra il tragico e il grottesco: prodotti scambiati per altri, nomi scambiati per altri, cariche scambiate per altre, interviste a presidenti pensando che fossero altri, dati statistici malintesi o interpretati a caso, sigle in liberà, doc che diventano docg, dop questa sconosciuta e semplicazioni concettuali di problemi seri da denuncia all’Ordine dei Giornalisti. Chiamiamola disinformazione involontaria.
Ma, amenità giornalistiche a parte (come Aset ci siamo offerti all’Ordine Regionale della Toscana di organizzare corsi in materia agricola e agroalimentare da inserire nei programmi di formazione obbligatoria rivolti ai colleghi demandati dalle testate a occuparsi di quelle materie), è il restringimento degli apparenti orizzonti della questione che deve preoccupare e rischia di stornare l’attenzione dal punto vero del problema.
Il PPR non è una dichiarazione di guerra della Regione Toscana ai produttori vinicoli (categoria, chiariamo anche questo, con begli e non sempre specchiati interessi da difendere), ma a tutta l’agricoltura intesa come attività economico-imprenditoriale. Nel provvedimento rientra l’intero ventaglio di attività e di aree rurali toscane: dalle ricche plaghe vinicole a quelle più depresse e marginali, dal florovivaismo all’allevamento ovicaprino, dalla cerealicoltura all’olivicoltura, dalla pianura alla montagna.
E su tutte, indistintamente in termini di approccio ideologico ai problemi, l’ente locale interviene con prescrizioni vincolistiche che, se da un lato aspirano a arginare la speculazione e la monocoltura (ma anche su questi concetti bisognerebbe capirsi bene, prima di spendere parole e emettere sentenze), dall’altro sembrano non considerare come certi modi di svolgere l’attività o certe necessità di cambiare gli orientamenti colturali siano le condizioni indispensabili affinchè, oggi, le imprese sopravvivano. Con l’unica alternativa di chiudere e di abbandonare – con effetti davvero esiziali per il paesaggio, la stabilità dei suoli, l’equilibrio ecologico – il territorio.
Il tema insomma è di una complessità estrema. E i fattori da considerare sono molti, spesso in contrasto fra loro anche se apparentemente identici nell’enunciazione.
Quanto basta a demolire ogni pretesa di visione monolitica e dogmatica.
Mentre qualche sindaco, però, ha già cominciato ad applicare “previdentemente” il piano, prima ancora che sia entrato in vigore.