La multinazionale ha appena lanciato un hamburger “sperimentale”, 100% di carne della celebre razza. Poi, dal 4/12, stessa operazione con la piemontese, tra marketing spinto e prove tecniche di italianizzazione. Il tutto ovviamente con una sua precisa logica. Ma…

Multinazionali lo sono senza dubbio. Stupidi, no di sicuro.
Non lo ammetteranno mai (o forse sì), ma sanno benissimo che per mettere solide radici commerciali in un paese dalla fortissima identità gastronomica come l’Italia, passare dalle forche caudine della tradizione nazionale è indispensabile.
E così, dopo aver fatto sponda sul Parmigiano Reggiano, il colosso americano del fast food torna in campo con l’operazione McItaly e scende su un terreno minatissimo: quello della carne, cioè della principale materia del suo prodotto di punta, l’hamburger.
Con un doppio colpo di marketing gastronomico: dal 13 novembre, per tre settimane, nelle 470 hamburgherie della catena sparse per la penisola (chiamarle “ristoranti”, all’ameregana, mi parrebbe francamente troppo), saranno serviti 40mila panini “Gran Chianina” al giorno. Fatti cioè con il 100% di carne della prestigiosa razza toscoumbra. Mentre dal 4 dicembre sarà la volta del “Gran Piemontese“, dove la polpetta sarà costituita interamente di macinato di razza piemontese.
In ambo i casi, un etto di carne certificata, con salse varie in un panino “tipo tartaruga”, a 5 euro e 90.
Il tutto, ha spiegato il direttore marketing di McDonald’s Italia, Marco Ferrero, durante la conferenza stampa organizzata a Firenze dalla Fondazione Qualivita, grazie alla collaborazione con il Consorzio di Tutela del Vitellone Bianco dell’Italia Centrale e la Coalvi, che garantiscono la provenienza della carne, e l’immancabile Coldiretti.
Ferrero ha poi parlato, affondando il colpo, di “percorso di valorizzazione” dei nostri prodotti e di “far incontrare i grandi volumi di una realtà da 700mila clienti al giorno (o da 200 milioni di panini l’anno, ndr) come McDonald’s con una delle carni più pregiate“.
Silenzio in sala.
Una sala che si trovava nella patria della fiorentina, la succulenta bistecca alta quattro dita, croce e delizia della ristorazione locale: delizia perchè vanto indiscusso, croce perchè da un lato c’è chi ci marcia, da un altro c’è chi tra mille difficoltà lavora da sempre per valorizzare il pregiatissimo taglio. E ora si ritrova il massimo esponente mondiale del cibo “fast” a creare scompiglio tra i consumatori parlando di “prodotto di nicchia” portato al “grande pubblico”.
A dare definitivamente fuoco alle polveri, l’affermazione di Ferrero che “sono 40, al massimo 80 i ristoranti che servono lombata di chianina acquistata e certificata dal Consorzio, tutti concentrati geograficamente nelle zone di allevamento“, mentre con l’operazione “Gran Chianina” McDonald’s offre questa possibilità nei suoi quasi 500 locali sparsi in tutta Italia.
Ne nasce qualche asprezza verbale e qualche risposta piccata.
Se però si scava un po’ sotto la superficie, ci si accorge che le cose stanno diversamente.
E la presunta, incipiente “guerra della lombata di chianina” tra ristoratori e hamburgheristi forse somiglia più a un fuoco di paglia o a una trovata (non dico cercata proprio, ma un ottimo casus belli sì) per alzare i toni, e quindi la visibilità, che a una polemica reale.
Innanzitutto, come fa sapere McDonald’s e conferma il Consorzio, la bistecca si ricava appunto dalla lombata dell’animale, mentre l’hambuger è fatto utilizzando tutti gli altri tagli, interiora escluse. Nessun utilizzo alternativo del taglio nobile, insomma. Nessuna sostanziale concorrenza, nè tra mercati di sbocco, nè tra intermediari del prodotto.
L’operazione, se vogliamo, è anzi, da un punto di vista commerciale, molto astutamente concepita e alla fine conveniente per tutti: la catena a stelle e strisce ha infatti ritirato dal mercato (“ma progressivamente, nell’arco di sei o sette mesi, per non creare turbative“, specifica Ferrero), sebbene a prezzi presumibilmente molto convenienti, una massa di prodotto altrimenti difficile da smerciare, più o meno corrispondente alla carne ricavabile dalla macellazione di circa 270 bovini. “Da un capo di 800 kg circa si ottiene polpa per hamburger nella misura di circa 300 Kg, oltre ai 60 kg di lombi“, chiarisce in proposito Stefano Mengoli, presidente del Consorzio di Tutela. Il che vuol dire che in sole tre settimane oltre 80 tonnellate di carne di chianina, del tipo però meno richiesto, finiranno prima sulla piastra e poi strizzate tra due fette di pane. “Chi avrebbe scommesso su una iniziativa del genere 12 mesi fa?“, confessa apertamente Mengoli al vostro cronista.
E allora il cerchio si chiude: di qua la bistecca gourmet, fatta con la lombata, di là l’hamburger di carne chianina, fatta di tagli più poveri ma “certificata e tracciata, di buona qualità e a un prezzo bassissimo“, come puntualizza Ferrero.
Forse non è l’uovo (commerciale) di Colombo, ma probabilmente i conti tornano.
A questo punto però, già lo so, i lettori saranno impazienti di avere una risposta alla domanda che fin dall’inizio ronza loro, fastidiosa, in testa: ma alla resa dei conti, questo “Gran Chianina” com’è? Di che sa?
Ovviamente l’ho assaggiato in anteprima.
Ma, lo riconosco, non con l’attenzione e neppure nel contesto dovuto.
Tornerò quindi ad assaggiarlo da semplice cliente, in un qualsiasi McDonald’s, tra qualche giorno.
E vi riferirò, con la franchezza di sempre, in un articolo ad hoc.