Prima, ogni fine d’anno, eravamo alluvionati dai diari-omaggio. Ora, zero o quasi. Ma siccome, vista l’aria, bisogna fare di necessità virtù, ecco un’idea virtuosa: usare quelli vecchi, ma intonsi, rimasti nei cassetti. Un modo per decrescere, risparmiare, riciclare. E tirarsi su il morale.

Ammettiamolo: per anni siamo stati sommersi dalle agende-omaggio. Tanto da non sapere cosa farne. Di ogni formato. E da regalarne a iosa: quelle di banche, clienti, istituzioni.
Poi, via via, il fenomeno ha cominciato a rarefarsi. Un po’ per via del fatto che l’agenda ormai si ha nel cellulare, che è molto più pratico, agile e leggero. Un po’ perchè le vacche erano sempre più magre.
Con la crisi, la fonte dell’agenda facile si è asciugata quasi completamente.
Addio all’abbondanza di un tempo. E addio perfino al necessario.
Così si è arrivati al 2013 quando, per la prima volta da sempre, mi sono trovato a corto di agende.
Ci ho messo un po’ per realizzarlo, diciamo un paio di settimane.
Dopodichè mi sono rassegnato: avevo una sola agenda, quella per il mio tavolo di lavoro (me l’ha regalata, lo dico pubblicamente ringraziandolo coram populo, il Consorzio del Vino Chianti).
Niente per l’ufficio, niente per casa.
Direte: comprane una. Certo, si può fare. Anche se l’idea, visti i trascorsi, mi suona sconcertante.
Poi si è accesa la lampadina.
Tra i miei tanti difetti, c’è quello di non buttare via quasi nulla. E mai, per principio, le cose nuove, o di un certo valore, o ricevute in regalo.
Sapevo quindi di avere in un cassetto decine di agende vecchie, ma intonse.
Ed ecco qua: scopro che quella del 2002 e del 2008 sono identiche a quelle del 2013. Nel senso che i giorni della settimana corrispondono alla perfezione (forse la Pasqua no, devo ancora controllare, ma me ne farò una ragione e correggerò a mano). Problema risolto con immensa soddisfazione, costo zero, fatica punta.
E siccome ho una copiosa raccolta di esemplari nuovi che vanno dal 1998 al 2011, mi sa che mi sono garantito appunti e scarabocchi per i prossimi dieci anni.
Alla faccia della crisi e del tempo che passa.
Evviva la decrescita.