E ha ragione Gubitosa. Il suo torto è sprecare tempo a rispondere ai coglioni e ai masochisti che confondono il lavoro col passatempo e l’opinione con la cronaca. Facciano pure, dico io: a me non fanno concorrenza di sicuro. Basta che poi non si lamentino.
L’uscita del “Fuffington” Post italiano diretto da Lucia Annunziata ha dato vita in pochi giorni a un mirabolante sciocchezzario, sortendo tre effetti.
Il primo è di ottenere un’enorme pubblicità gratuita.
Il secondo è appunto di offrire alla gente l’opportunità di sproloquiare a ruota libera.
Il terzo, e più incredibile, è di mettermi in condizione di dare ragione all’Annunziata Lucia quando dice “I blog non sono un prodotto giornalistico. Sono commenti, opinioni su fatti in genere noti: è uno dei motivi per cui i blogger non vengono pagati“.
Me n’ero già occupato, da altra prospettiva, la settimana scorsa (qui), ma la lettura dei commenti, sul sito del Lsdi, all’articolo di Carlo Gubitosa “Appello a chi scrive gratis tanto per farsi leggere: e’ il momento di smetterla” (qui) fa trasalire.
La cosa più sconcertante sono le sciocchezze di un sacco di gente che non sa di che cosa parla e che, in più, lo fa col paraocchi.
L’unico sbaglio che mi sento di ascrivere al collega è di rispondere a quelle amenità. Segno inequivocabile che non solo gli autori pontificano su argomenti a loro ignoti, ma che molti tanto bisognosi non sono, visto che hanno tutto questo tempo da perdere in rete (cosa evidentemente resa possibile dallo stato del loro portafogli o dalla benevolenza del loro datore di lavoro, il quale quel portafogli gonfia).
Per sfogare la propria grafomania prima c’erano i famosi romanzi nel cassetto, ora c’è internet e ci sono i blog. Straordinario strumento di democrazia, dicono alcuni. Mah, secondo me è l’oppio tecnologico dei popoli, ma lasciamo pure che, chi ci crede, si balocchi con questa fuffa e i loro furbeschi contenitori, come appunto il celebrato Fuffington. Lasciamo, come insegna la regola della vita, che chi ha fiuto ottimizzi e metta a frutto ciò a cui il prossimo non è affatto costretto, ma anzi sgomita per fornirgli senza mercede. In questo caso i contenuti. Contento chi scrive, contento chi pubblica e contento chi legge. Insomma, chi si accontenta gode.
Io che, come altri, ho invece la stringente e quotidiana esigenza di campare con il mio lavoro di giornalista, lascio che i coglioni e i masochisti ansiosi di lavorare gratis (rectius: di fare volontariato a pro di chi non ne ha bisogno) lo facciano pure, tanto a me non fanno concorrenza. Io non scrivo nè gratis, nè per 10, nè per 50 euro a pezzo. Se devo regalare il mio tempo, lo regalo volentieri a chi voglio. Loro pure. Ognuno è libero di fare quello che vuole. Basta non chiamarlo lavoro. E non chiamare giornalista chi fa un altro mestiere e, per hobby, scrive.
Tanto, prima o poi, la moda passa, la vita presenta il conto e l’autolesionismo cieco dei benefattori va a farsi benedire sotto la spinta del fabbisogno quotidiano.
Ne riparleremo allora, se saremo ancora (professionalmente) vivi.