Anche quest’anno è di scena il triste rito del rating dell’ultima annata, una sceneggiata imbarazzante a cui per primo non crede nemmeno chi la allestisce. E allora perchè non riallineare le valutazioni con la realtà? O affiancargli una seduta di rivalutazione delle annate precedenti, come fanno a Taurasi?

Sono meglio le farfalline di Belen delle stelline dei consorzi del vino. Le prime almeno sono ammiccanti e fanno immaginare ciò che difficilmente si potrà toccare con mano. Le seconde sono invece un imbarazzante compromesso tra la necessità di illudere e quella di non mentire, in attesa che il tempo faccia il suo gioco.
Oggi, ad esempio, a Montalcino hanno dato 4 stelle all’annata 2011. Lo stesso l’altroieri a Montepulciano. Mi astengo dall’andare a ritroso citando le anteprime precedenti, tanto il tenore è analogo.
Dico solo che dare 4 stelle a un’annata problematica come l’ultima non è contraddittorio, ma lineare. Nel senso che è coerente con pressoché tutte le quotazioni buoniste espresse in passato dai consorzi anche nei confronti di vendemmie indifendibili o quasi.
Non sto a entrare nel tecnico, né voglio avventurarmici, perché non è questo il punto. Mi è bastato passare a volo d’uccello con la memoria ai mesi scorsi e alle visite nei vigneti per concludere che anche il “rating” riservato al 2011 è in genere un’occasione mancata per riportare la barra nel solco della verità e riallineare con il mondo reale una striscia valutativa fin troppo enfaticamente fatta deviare stagione dopo stagione, per meri scopi di propaganda, dalla valutazione critica alla logica del marketing.
Il funzionamento del meccanismo non sfugge a nessuno, è chiaro: nella mente del consumatore il “voto” (dato alla vendemmia e al singolo vino) è ciò che meglio resta impresso e che pertanto più condiziona le sue scelte di acquisto. Il compratore ha memoria corta, consulta il tabellino, vede che l’annata è a 4 stelle – alle soglie dell’eccellenza, insomma – mette mano al portafogli e torna a casa convinto di aver comprato una gran roba. Mette in cantina, dopo qualche anno stappa e i nodi vengono al pettine. Chi si ricorda il battage fatto in Toscana per la cosiddetta vendemmia del secolo, il 1997? Ecco, quello.
Le stelle date alle annate sono finite così per diventare, ovunque, non un’informazione orientativa ma una banale reclame.
Niente di male, per carità. La pubblicità è l’anima del commercio. Basta saperla valutare come tale.
Ma il rischio è di fare come “al lupo, al lupo”: magari viene fuori qualche vendemmia davvero grande e poi nessuno ci crede.
E allora meglio certe annate spernacchiate dai giornalisti e poi rivelatesi, alla prova dei fatti, migliori del previsto. Oppure fare come quest’anno a Taurasi: in occasione dell’anteprima hanno fatto anche una degustazione retrospettiva di una vendemmia precedente e l’hanno rivalutata con il vino nel bicchiere. Grande idea. Quasi un uovo di Colombo che in tanti dovrebbero copiare, per dare trasparenza e recuperare credibilità.