E’ di ieri la sentenza della Suprema Corte secondo cui, a causa della “diversità strutturale” tra carta stampata e internet e l’impossibilità del direttore di un giornale on line di controllare ex ante i commenti dei lettori, la pubblicazione di contenuti offensivi non è reato. Come giornalista tiro un respiro di sollievo, ma come cittadino mica tanto.

La notizia è questa.
Roma, 29 novembre 2011. Il direttore di una rivista online non risponde delle mail inviate dai lettori a commento di un argomento che possono rivelarsi diffamatorie. Lo sottolinea la Cassazione nell’annullare, «perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato», una condanna prevista dall’art. 57 c.p. che punisce i reati commessi con stampa periodica inflitta dalla Corte d’appello di Bologna nei confronti di Daniela Hamaui che, in qualità di direttrice responsabile dell’edizione on line del settimanale ‘l’Espresso, era stata condannata per omesso controllo di un ‘post’ inviato da un lettore, e automaticamente pubblicato, impedendo così la diffamazione ai danni di una persona. Secondo la Cassazione, che ha accolto il ricorso della difesa della direttrice del settimanale on line, «per le pubblicazioni a mezzo della rete informatica, quantomeno per quelle che vengono ‘postatè direttamente dall’utenza, senza alcuna possibilità di controllo preventivo da parte del direttore di testata, deve essere svolto un discorso analogo a quello operato in materia radiotelevisiva». D’altronde, osservano ancora gli ermellini, «non vi è solamente una diversità strutturale tra carta stampata e Internet, ma altresì la impossibilità per il direttore della testata di impedire la pubblicazione di commenti diffamatori, il che rende evidente che la norma contenuta nell’art. 57 del c.p. non è stata pensata per queste situazioni, perchè costringerebbero il direttore ad una attività impossibile, ovvero lo punirebbe automaticamente ed oggettivamente, senza dargli la possibilità di tenere una condotta lecita». La sentenza è la numero 44126 della Quinta sezione penale. (Adnkronos)”

Da giornalista e da direttore di una testata on line, è senza dubbio una sentenza dalla quale posso trarre solo vantaggi. Ma che tuttavia mi lascia anche parecchio perplesso.
In pratica essa dà il via libera legale a una pratica molto diffusa, quella della diffamazione, se non della calunnia a mezzo web, fatta attraverso commenti offensivi e quasi sempre anonimi che qualunque lettore può postare su una testata telematica (e figuriamoci cosa succede nei blog).
Non entro nel merito tecnico della pronuncia, ma trovo piuttosto contraddittorio il fatto che non si debba (ma allora, volendo, si può?) rimuovere dopo certi commenti che era impossibile filtrare prima.

«Ai supremi giudici – dice in proposito un analogo dispaccio Ansa – il legale di Hamaui ha fatto presente che l’articolo incriminato «non era un commento giornalistico, ma un ‘post’ inviato alla rivista e cioè un commento di un lettore che viene automaticamente pubblicato, senza alcun filtro preventivo». Consapevoli delle peculiarità delle edizioni on-line, i giudici di merito della Corte di Appello di Bologna avevano addebitato al direttore non l’omesso controllo ma l’omessa rimozione del commento. In questo modo, però, ha obiettato il legale, si «stravolge la norma incriminatrice che punisce il mancato impedimento della pubblicazione e non invece l’omissione di controllo successivo».

Boh, io lo “stravolgimento” non lo vedo, anche se capisco la ratio della sentenza. A meno che non si voglia dire che il filtro, ritenuto preventivamente impossibile (e su questo non ci piove), non sia considerato tale anche successivamente e che la scelta del direttore di cassare o non cassare certi commenti dipenda non da una sua valutazione professionale, ma da una sua eventuale malizia.
Insomma: come giornalista sono utilitaristicamente contento, ma come cittadino potenzialmente sottoposto alla minaccia di un’impunita diffamazione a mezzo web, non mi sento per niente tranquillo.
E voi?