Si è conclusa oggi nel capoluogo toscano “Giornalisti e giornalismi”, la kermesse dedicata agli “altri” della professione. I risultati? In chiaroscuro. E sui quali già ci si accapiglia a colpi di equivoci, dietrologie, formalismi, sospetti e perfino qualche veleno. Come se aver messo insieme 300 colleghi che si parlano e si (ri)conoscono fosse poco.

La “Carta di Firenze” (il testo è qui) è ancora calda di prima approvazione (visto che quella definitiva dovrà darla – speriamo; o no? – il consiglio nazionale dell’OdG) e già ci si accapiglia. C’è chi dice che non è stata approvata formalmente e/o contesta un’approvazione avvenuta per tiepida e distratta acclamazione. C’è chi dice che non serve a niente. C’è chi pensa che serva a tutto. Chi invece pensa che serva solo a qualcuno. Chi voleva che servisse solo a se stesso e ritiene di averla indirizzata in quella direzione “imponendo” la propria linea. Molti sostengono che è una bozza (ma allora che si è approvato?) e altri che potrà (o sarà) essere emendata, rendendo vano il lavoro svolto. Non manca chi è convinto che sia stato tutto pilotato o addirittura preordinato, chi l’ha scambiata per una battaglia di interessi tra una categoria e un’altra, chi sperava di farne un bacino elettorale, chi di usarla per la campagna acquisti, chi come una comoda passerella.
E poi i molti (la maggioranza?) che non ci hanno capito un cazzo.
La capacità dei giornalisti di cadere dal pero è in effetti straordinaria. Pari soltanto, forse, alla loro capacità di dimenticare in fretta le esperienze del passato. Specie se negative.
Solo gli ingenui e gli inesperti potevano credere ad esempio che dall’assise fiorentina di ieri e di oggi uscissero risultati tecnicamente o politicamente decisivi. La Carta era partita zoppa negli slogan e nell’impostazione, tutta incentrata sul problema del precariato, quando invece voleva abbracciare tutti i “giornalismi”, e sul filo di questo equivoco, nonostante certi tentati cambi di rotta, ha continuato a procedere fino alla fine. Per dare un’idea, la prima pagina della versione finale contiene la parola “precario” quattro volte. La prima versione arrivava a sette.
Peccato che, come è emerso dal confessionale pubblico della prima giornata, si sia scoperto che la professione giornalistica, contrattualizzati a parte, conosce anche altre figure come i liberi professionisti, i pensionati, i cococo, i part time, i pubblicisti vecchio stile, gli abusivi e via cantando. E che se questi erano numericamente in minoranza non dipendeva dal fatto che le loro istanze fossero meno gravi o urgenti, ma solo dalla circostanza che erano meno organizzati.
Peccato anche che in tanti (non tutti, per fortuna) non abbiano capito che la pluralità delle anime è una delle poche, residue forze di una categoria ridotta al lumicino da un sindacato cronicamente assente nei confronti del 90% dei giornalisti (e di una buona metà dei propri soci) e da un Ordine che, praticando uno svagato fintotontismo, si è da alcuni anni trasformato in un giornalistificio autolesionistico.
Se ne sono dunque sentite – come direbbe la Minetti – “di ogni”. Gente che pretendeva di stabilire in un documento deontologico interno dell’OdG le “sanzioni” da comminare agli editori esosi. Altri che, sbraitando da un lato contro i compensi da 2 euro ad articolo, dall’altro imploravano che non si imponessero cifre più alte, “sennò ci licenziano tutti” (licenziano?!?). Un tipo sale sul palco, dice di “fare l’artista”, tira un paio di bestemmie in faccia al vescovo e sghignazzando confessa di guadagnare con l’attività giornalistica 600 euro all’anno. Quell’altro che scrive pezzi a 0,50 (cinquantacentesimi!) l’uno e parla di dignità, senza rendersi conto di essere lui per primo a mancare di rispetto a se stesso solo a prendere in considerazione certe cifre. A decine confondono precari e freelance, Fnsi e OdG (l’Inpgi non sanno nemmeno che esiste), pensionati e abusivi.
Retorica e piagnistei toccano in certi momenti vette inimmaginabili. Immancabile la pasionaria che accusa addirittura la categoria e chi la rappresenta “di avere le mani sporche di sangue”, abbondano le captaziones benevolentiae della platea facendo leva sui più pietosi e triti argomenti politici. Non si sa se è peggio il minuetto dialettico organizzato stamattina dalla triade Malinconico (Fieg), Siddi (Fnsi) e Carra (relatore del progetto di legge sul “giusto compenso”) o la gazzarra messa in piedi dai soliti agitatori comizianti alla fine della tavola rotonda, tra strepiti, schiamazzi e microfoni contesi. Roba patetica, che passa però in secondo piano quando si scopre che le alte sfere sindacali (oltre al segretario Siddi c’era anche il presidente della Federazione Natale) non sono venuti lì apposta con una trasferta da Roma, ma col taxi da Fiesole, dove il sedicente “sindacato unico” (pfui) ha organizzato alla chetichella, in concomitanza con la giornata fiorentina, un seminario dal titolo (reggetevi forte) “I cambiamenti dell’industria dell’informazione: come possono rispondere i sindacati alle crescenti condizioni di precariato e di disagio dei giornalisti freelance”. Olè!
Ma ci rendiamo conto?
Ecco, questa fiera delle miserie ha rischiato di mettere in ombra non solo l’enorme sforzo organizzativo dei promotori e il loro indubbio successo nell’allestire una kermesse da 300 persone dando due pasti gratis a tutti, spesso pure gli alloggi, senza code, in un bellissimo ambiente dove tutto funzionava, senza bivacchi, senza cessi intasati, senza il solito caos e senza transumanze, ma soprattutto la straordinaria chance che la riunione fiorentina ha offerto una classe divisa, composta da solitari cronici, litigiosi per vocazione, patologicamente ipnotizzati dal computer, chiusi autisticamente nei loro uffici e ingabbiati nei loro tran tran quotidiani, di conoscersi de visu e riconoscersi, discutere, parlarsi, imparare, capire, apprendere, fare esperienza e toccare con mano la complessità dei problemi dei giornalisti.
Un valore aggiunto impareggiabile che compenserebbe comunque e abbondantemente qualunque fallimento “politico”.
Chissà, a furia di litigare forse se ne sono resi conto in pochi, ma col tempo cambieranno idea.